I nuovi indicatori per un'economia equa
L'Osservatore Romano 12 maggio 2025 - Gabriele Renzi
https://drive.google.com/file/d/1G8-sz1eDvXZRv6bwRVFg8CYASHxs24Kz/view?usp=drive_link
I nuovi indicatori per un'economia equa
L'Osservatore Romano 12 maggio 2025 - Gabriele Renzi
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Il taccuino e la storia
Corriere della Sera 9 maggio 2025
Il nuovo Pontefice ha deciso di leggere il discorso. Non sarà un nuovo Francesco, ma ha lanciato segnali sul futuro
La prima cosa che colpisce non è il fatto — storicamente importantissimo — che sia stato eletto il primo Papa nordamericano. Né che abbia scelto un nome all’apparenza desueto, lontano nel tempo, in realtà significativo: Leone, il nome del primo Papa a riconciliare, con la Rerum Novarum, la cristianità con la modernità. E neanche l’insistenza sulla parola «pace», la pax christiana, che consiste nel costruire ponti: questo, del resto, significa Pontefice (che si dice così anche in inglese, Pontiff).
La prima cosa che colpisce di Robert Francis Prevost è il taccuino. Mai un Papa aveva letto dalla loggia un testo scritto, con il foglio che a tratti spuntava fuori. Non è una scelta che si spiega solo con le difficoltà linguistiche. Papa Leone parla bene l’italiano, perfettamente lo spagnolo — grazie alla sua lunga missione in Perù —, conosce il latino; infatti, si è espresso in queste tre lingue, e non nella sua. Il taccuino gli serviva a essere preciso. A non sbagliare nulla, senza la necessità di farsi correggere, come disse Giovanni Paolo II conquistando gli italiani in un secondo.
A non improvvisare, come aveva fatto Francesco: «Buonasera, pregate per me...». A dire esattamente quello che aveva nella testa e nel cuore.
Non siamo ipocriti: non è vero che non sia importante il posto da cui il Papa viene. Certo, il Papa ha un ruolo universale, che è poi il significato della parola «cattolico». Però il fatto che Giovanni Paolo II fosse polacco influì sull’energia con cui affrontò il comunismo sovietico. Il fatto che Benedetto XVI fosse tedesco non fu estraneo al suo rigore teologico e filosofico. Il fatto che Francesco fosse argentino ha certo determinato la sua attenzione ai poveri e ai Paesi emergenti, e la sua critica all’Occidente. Ora viene un Papa che ha un piede nell’America del Nord, dove è nato e si è formato, e l’altro nell’America latina, che ha scelto per la sua missione pastorale. E ha due anni di esperienza nella curia romana, come prefetto del dicastero per i vescovi, un ruolo-chiave che ha fatto di lui uno dei tre cardinali ben noti a tutti i colleghi.
Gli altri erano Tagle e Parolin, entrato in conclave da favorito, e non soltanto secondo i media italiani. Pizzaballa era troppo giovane, Zuppi fin troppo figlio di Francesco; ma Parolin sulla carta poteva mettere d’accordo sia i bergogliani sia i moderati, se non i conservatori. Non è accaduto, e se questo non può essere letto come una sconfitta della Chiesa italiana, certo impone una riflessione. Il Papa era italiano quando il Vaticano era uno degli staterelli in cui il nostro Paese era diviso. Pio IX non accettò mai la perdita del potere temporale. Fu proprio Leone XIII il primo ad affrontare la nuova condizione di leader spirituale, che nel Novecento ha molto ingrandito il ruolo del Pontefice, soprattutto dopo il Concilio
Vaticano II. Il Papa polacco ha contribuito ad abbattere il Muro, il Papa tedesco ha vegliato sulla dottrina, il Papa argentino ha spalancato alla Chiesa un nuovo mondo. Il Papa nordamericano è chiamato a confermare questa apertura, conciliando la continuità con la tradizione.
Da qui la scelta di Leone. Un nome che da una parte segnala la persistenza di uno spirito progressista, dall’altra lo inquadra in una prospettiva più ampia, lo incardina nella storia della Chiesa. I fedeli in piazza San Pietro, dopo l’iniziale delusione — un cardinale straniero, un nome diverso da Francesco — l’hanno capito. E hanno colto fin da subito il tratto umano, riservato ma non trattenuto, di Papa Leone.
Trump si è congratulato; ma Prevost non è certo il Papa di Trump, su X ad esempio criticò il vicepresidente Vance ricordandogli che l’amore di Dio non distingue tra familiari ed estranei, tra vicini e lontani; «Dio vi ama tutti», come ha ripetuto ieri. Le insinuazioni sull’assegno da 14 milioni di dollari staccato da Trump al Vaticano in occasione del funerale di Francesco sono ovviamente infondate. Certo, le casse della Santa Sede sono in rosso, e gli Stati Uniti — con la Germania — sono la grande potenza economica della cristianità.
Prevost riconcilia la Chiesa con gli Usa, con cui Bergoglio aveva un pessimo rapporto. E uno dei suoi ponti lo costruirà con l’Europa: la sua famiglia ha radici italiane, spagnole e francesi, del resto lui parla pure francese e portoghese, lingue che nelle riunioni preconclave gli sono certo tornate utili. Un ponte, quello tra America ed Europa, che da oggi Trump avrà qualche problema in più a tagliare. Non è difficile intravedere, dietro una scelta così rapida (alla quarta votazione), il ruolo dell’episcopato americano, che già dodici anni fa si era mosso in modo fulmineo e coordinato su Bergoglio.
Prevost non sarà un nuovo Francesco. Non nel nome. Non nell’abbigliamento: ha ripristinato stola, mozzetta, rocchetto e croce d’oro, come Ratzinger. Non nel linguaggio, che fin dall’inizio non ha lasciato nulla all’improvvisazione. Ma non per questo riporterà indietro la storia della Chiesa.
Le sue parole di pace hanno richiamato alla memoria un altro Papa Leone, quello che secondo la tradizione fermò Attila e salvò l’Italia e l’Occidente; ma non con la spada, con la croce. Ancora una volta, le campane di San Pietro suonano per tutti noi, danno un senso universale alla capitale italiana, e irrompono nelle nostre piccole e brevi vite per ricordarci che veniamo da lontano, e lontano possiamo andare.
Aldo Cazzullo
Schlein: "Sul no al riarmo insisteremo"
Il Manifesto 7 marzo 2025
https://drive.google.com/file/d/1JvFZdjo0Hah0n4_PSNTeLTLbiF54TFoq/view?usp=drive_link
Perché all'Europa conviene una difesa unica
Carlo Cottarelli - L'Espresso 5 luglio 2024
https://drive.google.com/file/d/1xDxr7Dp2Of1JLU6WesB_0P_m88baXMxr/view?usp=sharing
Creare legami, guarire la democrazie
Intervento di Romano Prodi al convegno organizzato da Comunità Democratica il 18 gennaio 2025
https://drive.google.com/file/d/1uptXtPe1mQGHJj0HvNlgrkDtlfebFBrg/view?usp=drive_link
Da Il Messaggero del 18 gennaio 2025 - L’effetto Trump/Musk sul mondo post europeo
Romano Prodi 18 gennaio 2025 - Il Messaggero
Fra due giorni, con l’insediamento di Donald Trump, si passerà dalle parole ai fatti. Le parole dette da lui e dal sempre presente Elon Musk sono state tante e tutte inquietanti. Dalle nuove barriere doganali disseminate in tutto il mondo alle ridefinizioni della sovranità nei confronti del Canada, della Groenlandia e di Panama, fino alle inusitate intrusioni nella politica interna tedesca e britannica. Si è arrivati al punto di proporre addirittura una nuova denominazione per il Golfo del Messico.
Minacce sparse ovunque, ma non nei confronti di Cina e Russia che, pur essendo i suoi nemici giurati, Donald Trump ritiene debbano essere rispettati in considerazione della loro forza. Un’aggressività ben più estesa ed intensa rispetto a quella espressa nella sua prima campagna elettorale, anche perché, al progetto di rendere grande l’America nel mondo, si è aggiunto un attacco senza precedenti non solo nei confronti delle strutture parlamentari, ma di tutte le istituzioni del paese: dalla Magistratura, alla Banca Centrale fino agli organismi di sicurezza nazionale.
Se anche solo parte di questi propositi venisse messa in atto, ci troveremmo di fronte a un sostanziale cambiamento del concetto di democrazia, che gli americani non solo hanno sempre ritenuto fondamento della loro vita collettiva, ma si arrogavano anche il dovere di esportarla nel mondo.
Il paradosso della coppia presidenziale, che mette insieme l’uomo più potente e l’uomo più ricco del mondo, è arrivata a tal punto che molti fra i più raffinati analisti della politica americana si dividono fra coloro che auspicano che i nuovi leader siano bugiardi e quelli che si augurano che litighino fra di loro. Tenuto conto della quantità delle esagerazioni verbali, speriamo che almeno gli obiettivi che provocherebbero danni ingenti per la pace e per la prosperità globale non siano perseguiti.
Meno probabile, a mio parere, è invece che si consumi una rottura fra Trump e Musk. Non solo perché la loro unione ha costituito un elemento determinante per la vittoria elettorale, ma perché questi interessi comuni si stanno estendendo a tutto il nuovo establishment economico americano con una velocità sorprendente. In soli pochi giorni i giganti della nuova economia hanno abbandonato il fronte democratico, hanno sostituito i loro rappresentanti a Washington e hanno adattato la propria strategia. Questa repentina virata ci lascia pensare che l’allineamento alla politica presidenziale sia l’unica scelta possibile.
Siamo infatti entrati in un nuovo ordine nel quale le elezioni legittimano la nascita di un potere politico dell’esecutivo senza alcun limite. In questo modo viene eroso il sistema di pesi e contrappesi che costituisce la necessaria caratteristica della democrazia.
Nello stesso tempo è stato tolto ogni limite allo strapotere economico. Proprio quel limite che da quasi un secolo e mezzo gli Stati Uniti, con le leggi antitrust, avevano ritenuto essere uno strumento fondamentale per la conservazione degli equilibri democratici.
Oggi si è creata una nuova realtà per cui è ritenuto impossibile che al sistema delle imprese vicine a Trump possano essere applicate le stesse misure di contenimento a cui furono sottoposte la Standard Oil e la AT&T, semplicemente perché il loro grande potere economico era stato ritenuto rischioso per la vita stessa del sistema democratico. Di fronte all’avanzata di questo nuovo ordine, l’Europa si presenta sempre più debole in termini economici, tecnologici e soprattutto in termini di capacità decisionale.
Alla tradizionale dipendenza nella difesa si è aggiunta una dipendenza altrettanto marcata nell’energia e nelle tecnologie che ormai condizionano la nostra vita quotidiana. Siamo sempre più dipendenti dagli Stati Uniti ma, essendo divisi, siamo sempre meno influenti nella politica americana.
Di fronte all’intrusione politica nei singoli paesi abbiamo solo una flebile lamentosa difesa da parte della Commissione Europea e un’inutile protesta dei governi che assistono impotenti a questa invasione di campo. A questo si accompagna la mancanza di un progetto collettivo di dimensione e rapidità tale da garantire l’efficacia e la sicurezza del nostro sistema informativo.
Proprio la contingente debolezza di Francia e Germania potrebbe permettere all’Italia di assumere un ruolo trainante nella direzione di una comune politica europea. Tuttavia, vi sono troppi elementi che fanno dubitare che il nostro paese voglia svolgere questo ruolo, scegliendo di adattarsi alla preferenza americana per il rapporto bilaterale.
Può darsi che questo possa offrire anche vantaggi nel breve termine, ma al prezzo di contribuire all’arrivo di un mondo che il Wall Street Journal definisce come “post europeo,” un mondo in cui l’Europa non conta più nulla.
In attesa di queste decisioni possiamo tuttavia constatare che, almeno nella direzione della trasformazione della democrazia, non solo siamo allineati, ma abbiamo addirittura preceduto gli Stati Uniti nel ritenere che la vittoria elettorale permetta all’esecutivo una prevalenza assoluta rispetto a tutti gli altri organi istituzionali, a partire dal Parlamento per finire con la Magistratura, inclusi il
sistema dell’informazione e i progetti di riforma costituzionale.
D’altra parte, di fronte ai cambiamenti descritti, può anche prevalere la necessità di adattare all’oggi un famoso detto del passato e concludere quindi che “Washington val bene una messa”.
Dal Corriere della Sera dell'8 gennaio 2025 - La Sanità e la svolta necessaria
Sergio Harari| 8 gennaio 2025 - Corriere della Sera
Alcune proposte dalle quali iniziare per riformare il nostro sistema sanitario. È ora di passare dalle parole ai fatti
Non esistono soluzioni semplici a problemi complessi, e certamente la sanità è uno dei sistemi più complicati del mondo moderno. Un noto manager del settore, ormai scomparso, era uso dire: «In sanità se tu modifichi il prezzo della carta igienica te lo ritrovi sui costi della sala operatoria, e non sai il perché». Il paradosso era un pò ardito e provocatorio ma rende bene l’idea.
I dati che arrivano da importanti istituzioni italiane, come la Corte dei Conti e la Ragioneria di Stato, solo per citarne due, oltre che da prestigiose riviste internazionali come Lancet, sono tutti univoci: un sistema con le criticità di finanziamento e di programmazione come quelle che presenta attualmente il nostro Servizio sanitario nazionale non può farcela. D’altra parte, una cruda analisi del National Health System inglese, pubblicata recentemente dal New England Journal of Medicine, la più prestigiosa rivista medica al mondo, ha ben dimostrato come un sottofinanziamento cronico non possa che determinare l’implosione di un servizio sanitario, sebbene prima ben funzionante. Il dato non deve essere sottovalutato perché è proprio al modello del Nhs che si ispira il nostro Ssn.
Il governo Meloni non ha colpa dell’attuale situazione che stiamo vivendo, sono decenni che il Ssn viene sottofinanziato, e ciò è avvenuto con tutti i governi di qualsiasi colore politico. I soldi sono una conditio sine qua non per garantirne la sopravvivenza, ma da soli non bastano.
Bisogna pensare a una nuova riforma che superi quella effettuata 46 anni orsono e guardi ai prossimi decenni a venire. E non bastano le critiche, bisogna passare alle proposte concrete, consci che l’attuale situazione non garantisce, come
vorrebbe l’articolo 32 della Costituzione, l’equanimità delle cure, né in termini sociali, né in termini regionali, né in termini di gender. D’altra parte, dobbiamo rassegnarci all’idea che è praticamente impossibile adeguare il finanziamento del Ssn ai livelli della media europea, questo comporterebbe uno sforzo difficilmente raggiungibile e sostenibile da qualsiasi governo in carica.
Si deve guardare la realtà in faccia ed essere pragmatici: il re è nudo, oggi noi non garantiamo più cure a tutti in modo equanime, tanto meno agli indigenti. Purtroppo sono molti anni che esperti lanciano allarmi che cadono nel vuoto.
Eppure, proposte ne sono state fatte e possono essere ancora formulate per correggere la rotta di una nave che, superata la tempesta del Covid, sembra destinata ad arenarsi nelle secche dell’immobilismo. Se volessimo passare dalle parole ai fatti ci sarebbero molti punti sui quali quasi tutti i tecnici convergerebbero:
— Aumentare il finanziamento del Ssn attraverso l’introduzione di tasse di scopo sui prodotti dannosi per la salute, come alcol e tabacco. Queste risorse dovrebbero essere destinate a politiche di prevenzione ed alla ricerca. Inoltre, si potrebbe considerare l’implementazione di tasse sugli extraprofitti delle multinazionali operanti nel settore sanitario. La prevenzione deve diventare un
pilastro centrale del Ssn. È poi necessario riorganizzare i Dipartimenti di prevenzione.
— Rivedere la rete ospedaliera è indispensabile per garantire una equa distribuzione dei servizi. Ciò include la verifica dei posti letto realmente disponibili e l’adeguamento delle strutture alle esigenze della popolazione.
— Promuovere un modello integrato che colleghi i servizi ospedalieri con quelli territoriali è cruciale per migliorare la continuità assistenziale. Le Case della Comunità e gli ospedali di comunità devono essere riempiti di contenuti e di personale qualificato per garantire un’assistenza efficace.
— La digitalizzazione deve diventare una priorità. L’implementazione di un fascicolo sanitario elettronico e l’uso dell’intelligenza artificiale possono migliorare l’efficienza dei servizi sanitari e facilitare l’accesso alle informazioni mediche per i pazienti e i professionisti.
— Evitare sprechi e prestazioni inappropriate attraverso un attento sistema di monitoraggio e una valutazione dell’appropriatezza prescrittiva, che possono significativamente essere ridotti dalla digitalizzazione e dai sistemi di AI.
— Riconsiderare il ruolo dei professionisti sanitari nelle decisioni strategiche riguardanti il Ssn. La loro esperienza clinica è cruciale per comprendere le reali necessità assistenziali e per sviluppare politiche sanitarie efficaci. Introdurre sempre più valutazione di qualità delle performance, e non solo quantitative, degli ospedali e dei manager e coinvolgere i clinici nella gestione rappresenta un passo fondamentale per passare dall’attuale modello aziendalistico ad uno più incentrato sul paziente e sul risultato delle cure.
— Rivedere e aggiornare gli attuali Drg (i rimborsi per le attività svolte che vengono riconosciuti agli ospedali) e valutare nuovi sistemi di tariffazione su indicatori di outcome.
— Un monitoraggio attento delle disuguaglianze regionali nell’accesso alle cure e nella qualità dell’assistenza è essenziale per garantire che tutti i cittadini abbiano pari opportunità di ricevere assistenza sanitaria adeguata. Le politiche devono essere adattate alle specifiche esigenze locali per colmare queste lacune.
— Gestire le aspettative dei cittadini riguardo ai servizi sanitari, promuovendo una comunicazione chiara e trasparente.
— L’AI può contribuire a una gestione più efficiente delle risorse sanitarie, prevedendo la domanda di servizi e ottimizzando la pianificazione delle attività ospedaliere. Attraverso modelli predittivi, è possibile anticipare i bisogni di salute e gestire le priorità. È cardinale espandere l’uso della telemedicina per migliorare l’accesso ai servizi, soprattutto nelle aree rurali o svantaggiate.
— Governare e potenziare la partnership pubblico-privato, senza lasciare spazio a comportamenti opportunistici, valorizzandone le potenzialità e le sinergie.
— Promuovere assicurazioni che fin dalla giovane età possano essere proposte come integrative, in particolare sulla non autosufficienza e sulla cronicità, le vere sfide alla sostenibilità del Ssn.
— Rivedere il sistema delle esenzioni e dei ticket parametrandolo ai redditi (meglio in certi casi pagare un ticket un pò più alto che dover pagare la prestazione a prezzo pieno per averla in tempi ragionevoli...).
— Superare l’attuale modello organizzativo prestazionale per un nuovo schema che consideri la presa in carico complessiva del paziente e gli outcome di salute.
L’elenco delle possibili proposte potrebbe continuare ancora a lungo ma fermiamoci qui. Si dice che il meglio è nemico del bene e certamente qualsiasi scelta si opererà sarà un compromesso, ma l’immobilismo registrato in questi anni verso questa pericolosa deriva del nostro Servizio sanitario è il peggiore dei mali.
Sul Venerdì di Repubblica del 3 gennaio un'intervista al segretario
del PD di Cinisello Balsamo